martedì 25 ottobre 2011

AD ADRIA COESIONE ANCHE PER FERMARE IL CARBONE

Ad Adria negli ultimi tempi sembra ritornata la voglia di coesione accompagnata anche dalla rinnovata capacità di coinvolgere, su temi importanti, rappresentanze politiche di un territorio più vasto. Lo abbiamo visto nella presa di posizione in difesa della sede  distaccata del Tribunale. Lo abbiamo visto prima ancora nella definizione della annosa questione cavalcaferrovia-circonvallazione. Lo abbiamo visto anche nel parere finalmente contrario espresso verso il “trattamento fanghi” di Bottrighe, i cui rischi erano stati denunciati pubblicamente per primi da noi di “Impegno Comune” in un comizio in campagna elettorale.

E proprio durante la campagna elettorale, negli incontri e nei confronti pubblici che si sono tenuti, l’atteggiamento verso la centrale a carbone da parte delle forze politiche era diffusamente tiepido se non apertamente contrario. Giustamente, perché se per il territorio polesano il carbone  rappresenta una risposta sbagliata, miope e di retroguardia rispetto alle sacrosante aspettative di lavoro e benessere, per Adria rappresenta un danno: la nostra città, intesa come territorio e cittadinanza, avrà tanto da perdere mentre a guadagnarci saranno in pochissimi, forse.

Allora lancio un appello a tutti gli altri candidati sindaci, ai consiglieri comunali, ai responsabili di partito perché si esprimano ed esplicitamente  sostengano l’impegno per fermare il carbone delle molte associazioni e dei tanti cittadini che da più parti d’Italia giungeranno sabato ad Adria per sfilare pacificamente a partire dalle 14.00. Anche sul carbone, quindi, si dimostri coesione e si faccia assumere alla città un ruolo guida.

Lancio un appello soprattutto a Massimo Barbujani che ha avuto modo di esprimere la sua contrarietà, come uomo, alla centrale a carbone, difendendola, però, inspiegabilmente, come sindaco.

Risolva questa strana dissociazione e partecipi anche lui, con tutti noi alla manifestazione del 29 ottobre! Gliene saremo grati come cittadini adriesi, oltre che come appartenenti al genere umano.


Leonardo Bonato

mercoledì 5 ottobre 2011

LA VENDITA DELLE AREE VERDI E’ MORALMENTE IL TRADIMENTO DI UN PATTO CONIL CITTADINO

E’ triste constatare come, ormai, gli spazi liberi pensati e preservati nel corso degli anni come risposta alle esigenze presenti e future dei cittadini residenti nel centro e in periferia siano trattati oggi come una semplice risorsa economico-finanziaria da parte di un’amministrazione comunale in cerca di una soluzione facile e apparentemente “indolore” per i problemi di bilancio.

Ma come si può proporre la vendita del verde pubblico senza rendersi conto che anche questo è uno spreco? È uno spreco della ricchezza rappresentata dal territorio di cui risentirà la qualità della vita dei cittadini, depauperati irreversibilmente di un bene di cui non potranno più disporre.

Le indicazioni della pianificazione urbanistica considerate fino a ieri strumenti per tutelare il territorio, difendendolo dalle spinte speculative, sono oggi messe in discussione dallo stesso Comune che per far cassa va avanti con varianti e cambi di destinazione d’uso, navigando “a vista”, con il P.A.T. che è, forse non a caso, fermo al palo.

C’è, però, un altro aspetto finora poco considerato.
Il Comune, quando vende un’area verde, cede un bene che ha ricevuto dai privati gratuitamente o espropriandolo per pubblica utilità, con la finalità precisa di soddisfare un bisogno della comunità. Nelle lottizzazioni questa sottrazione di superficie si ripercuote inevitabilmente sulle aree utilizzabili, aumentandone il prezzo e, pertanto, i cittadini che vivono in quelle zone hanno pagato e pagano anche quell’area verde,  accompagnati, però, dalla certezza di goderne i benefici.

La vendita anche parziale di quell’area da parte dell’ente pubblico rappresenta, quindi, moralmente, il tradimento di un patto con il cittadino, che risulta danneggiato e beffato perché alla fine:
1) ha pagato un terreno più del suo effettivo valore;
2) è privato di un servizio che riteneva garantito;
3) vede aumentato il carico urbanistico della zona, perché l’area viene venduta non come “verde privato”, ma come terreno edificabile (con il conseguente aumento della densità abitativa, dell’ impermeabilizzazione dei suoli, ecc.).

A questo punto quell’area, nel momento in cui cessa di essere quel contributo a migliorare il territorio che ne aveva giustificato la sottrazione ai privati, diventa né più né meno che una tassa a carico del cittadino. Ovviamente in modo subdolo perché bisogna continuare a dire che “non si mettono le mani nelle tasche degli italiani”.

Se non si riflette su tutti questi aspetti, se siamo indotti a considerare i beni comuni come beni di nessuno e non come beni di tutti, rendiamo più povera la nostra città e impoveriamo noi stessi.

Occorre cambiare rotta! Si riprenda a parlare concretamente di quella programmazione urbanistica di cui tutti in campagna elettorale si erano riempiti la bocca. L’uso del territorio merita una riflessione “profonda” e “alta”. Cercare di tamponare una situazione economica senza quella lungimiranza temporale che dovrebbe avere ogni buon amministratore significa scaricare ancora una volta tutto il peso dei problemi sulle generazioni future.

Leonardo Bonato